Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
[Eugenio Montale]
“Te ne sei andata in silenzio, senza che nessuno avesse mai capito il male di vivere che ti portavi dentro. Non ti è bastato il pensiero dei tuoi figli, di ciò che avrebbero dovuto affrontare dopo, di quante domande si sarebbero fatti, di quante cose, forse, non sarebbero mai riusciti a perdonarsi. Il tuo male di vivere era più forte e ha vinto su tutto.
La sola cosa che sei riuscita a pensare è stata che loro ormai erano grandi abbastanza e avrebbero potuto cavarsela anche senza di te.
Certo, nella vita di tutti i giorni loro se la caveranno benissimo, anche se saranno tante le cose che non erano abituati a gestire e di cui ora dovranno farsi carico. Ma come si sentiranno ogni volta che il pensiero di te gli tornerà alla mente? Ogni volta che toccheranno le cose che tu hai toccato e si ricorderanno i gesti che tu hai compiuto o rievocheranno le parole che tu hai pronunciato?
Come si sentirà chi quella mattina si è alzato insieme a te e ti ha salutata come ogni altro giorno, ignaro che tu avevi già deciso che quello sarebbe stato il tuo ultimo giorno? Come farà a perdonarsi di non aver capito quanto ti fosse difficile sopportare il peso di cui ti eri caricata per alleggerire gli altri?
Non si è mai abbastanza grandi per smettere di essere figli e mai poco importanti per smettere di essere madri. Una madre non è mai inutile, mai superflua. Una madre è un punto fermo in una vita che si muove, è la radice che ci permette di andare lontano e tagliare volontariamnete quella radice espone le piante al rischio di essere annientate anch’esse dal male di vivere.
Ma tu stavi troppo male, da troppo tempo, per riuscire a mettere in secondo piano il tuo dolore pur di non causarne uno ancora più grande a chi aveva ancora bisogno di te, della tua presenza, delle tue radici.
Non te ne faccio una colpa, mi sto solo chiedendo se ti saresti fermata in tempo se la tua mente, anche solo per un attimo, fosse stata attraversata dal pensiero di cosa sarebbe accaduto nella vita di chi stavi lasciando, dall’attimo in cui avresti smesso di esistere. Riuscire a sentire, anche solo per un attimo, quanto la tua scelta avrebbe cambiato la loro vita e quanto sarebbero rimasti segnati per sempre dal tuo scegliere di andartene, solo perché vivere ti faceva troppo male, ti avrebbe fermata?
Anche io, sai, ci ho pensato tante volte ad andarmene, durante il mio lungo inverno, ma ogni volta a quel pensiero ne seguiva subito un altro e un altro ancora e quei due pensieri, a me, sono bastati per non trasformare quel primo pensiero in un’azione senza ritorno.
Il primo pensiero era lo sgomento che avrebbero provato i miei figli davanti alla mia scelta, il secondo la frustrazione che provavo io nell’arrendermi alle avversità e al peso di vivere, anziché trovare il coraggio di resistere e restare.
Ti penso spesso e pagherei perché i miei stessi pensieri avessero attraversato la tua mente e fossero bastati anche a te per fermarti in tempo, per strappare quella lettera, non aprire quella porta, e tornare alla tua vita con la voglia di chiedere quell’aiuto che non hai mai chiesto e di condividere con chi ti stava accanto quel peso che, fino a quel momento, avevi portato tutto da sola, fino a restarne schiacciata.
Non saprò mai se quel pensiero ti ha sfiorato, ma non ti è bastato, o se stavi così male da non riuscire a vedere altro che il tuo dolore. So solo che hai scelto di andartene e te ne sei andata.
È stata una tua scelta, la tua scelta, e nessuno deve sentirsi responsabile per questo, ma le persone che hai lasciato non smetteranno mai di farsi domande e di chiedersi come sarebbe andata se solo si fossero accorti prima, non dopo, di come stavi davvero dentro, tu che ai loro occhi eri sempre sorridente e sempre pronta a prendersi cura di tutto e di tutti.
Sai, dopo che te ne sei andata, sono affiorati i ricordi e, insieme alle tante frasi che ci siamo scambiate, è affiorato anche il ricordo di quella volta in cui ti osservavo nella tua casa immensa e mi sentivo sopraffatta, io per te, all’idea dell’impegno che richiedeva prendersene cura, per non parlare di tutto il resto. Non ricordo di cosa abbiamo parlato. Ricordo solo che, all’improvviso, forse per qualcosa che hai detto, nella mia mente si è fatta strada la sensazione che tu non fossi affatto felice della tua vita. Poi ci siamo salutate e quella sensazione è rimasta lì, sospesa nel vuoto della tua cucina, abbandonata a se stessa, dimenticata fino al giorno in cui hai scelto di andartene da sola, in silenzio.” [Lettera Firmata]
Questa lettera mi è stata inviata da una lettrice, con la preghiera di pubblicarla.
La pubblico con l’intenzione di aprire una riflessione su ciò che accade nelle vite di chi sopravvive a chi non è più capace di trovare una ragione abbastanza forte per continuare a vivere e sceglie di mettere fine alla sua vita.
La speranza è che questa riflessione possa aiutare anche una sola persona a spostare l’attenzione dalla propria sofferenza a quella che causerebbe nella vita di chi resta, se decidesse di togliersi la vita, e che quel pensiero possa diventare esso stesso una ragione sufficiente per continuare a vivere.
Grazie!